Stefano Casini Benvenuti è il suo direttore da circa 10 anni. Laureato in Economia e Commercio a Pisa nel ‘75, la sua carriera professionale si è svolta principalmente proprio all’interno dell’istituto fiorentino e la passione per il suo lavoro non si è mai attenuata nel tempo. Da due anni, da quando è andato in pensione, continua a rivestire gratuitamente il suo ruolo e ogni giorno si reca nell’istituto che si trova in un punto strategico di Firenze, vicino all’area ospedaliera, a due passi dal casello autostradale e a qualche passo in più dal centro storico.
Direttore, chi glielo fa fare di lavorare gratis?
«La passione per quello che faccio, la dedizione, il senso di responsabilità».
Come nasce il suo incontro con L’Irpet?
«Come tante volte accade nella vita, è stato un caso. Ero da poco laureato e stavo lavorando all’università di Pisa. Un giorno, girando per la facoltà, ho visto un manifesto attaccato al muro. L’Irpet bandiva delle borse di studio. Decisi di partecipare al concorso e lo vinsi».
L’Irpet svolge principalmente ricerche di tipo economico. Come vengono scelte le tematiche da approfondire?
«L’Irpet nasce con Giacomo Becattini, che ne è stato il primo direttore. Da economista e da interprete della realtà qual era voleva comprendere il modello di sviluppo della Toscana, che aveva delle caratteristiche che lo rendevano diverso da molti altri modelli.
Secondo le teorie e gli studi di allora, infatti, doveva essere la grande impresa a trascinare lo sviluppo economico dei territori. La Toscana non aveva niente di tutto questo. Aveva tante piccole imprese ben interconnesse, quelli che conosciamo come distretti.
Un esempio era il modello Prato.
Ancora oggi la scelta sulle tematiche da trattare è legata alla volontà di comprendere il territorio, i suoi mutamenti, soprattutto quelli legati al tessuto produttivo e sociale».
La Toscana è ancora quella degli studi di Becattini, un territorio caratterizzato da distretti?
«Sì, ma con delle differenze. Oggi vediamo che in alcuni distretti si è insediata la grande impresa che fa da traino e, in molti casi, come nel comparto moda e in quello della pelletteria, porta avanti l’alta qualità e i grandi marchi.
A questo fattore positivo si contrappone il fatto che spesso queste grandi imprese hanno dato ai distretti un’organizzazione di tipo gerarchico, dettando le regole del mercato».
In questo periodo su cosa si sono concentrate le vostre ricerche?
«Ovviamente sul Covid e sulle ripercussioni che questa pandemia ha avuto sul nostro territorio. L’Irpet ha dato vita all’Osservatorio Covid, una sezione speciale che racchiude tutte le ricerche che abbiamo fatto e stiamo facendo legate all’emergenza».
E oggi come sta l’economia Toscana? Che cosa ha significato l’emergenza?
«L’Italia dal 2008 è in fase recessiva. Il Covid è quindi intervenuto in una fase storica estremamente negativa.
Dentro questa lunga fase recessiva, per alcune regioni le cose sono andate un po’ meno peggio che in altre. La Toscana è stata una di queste, grazie soprattutto al turismo e alla sua capacità di esportare.
L’emergenza Covid ha ribaltato tutto. In questa fase quelli che fino ad oggi erano dei vantaggi si sono mostrati dei punti deboli.
Le esportazioni e il turismo sono completamente crollati. I nostri studi indicano che la Toscana potrebbe perdere più della media italiana, in termini di Pil, anche se ricerche più recenti stanno attenuando queste previsioni negative».
Allora c’è una luce in fondo al tunnel?
«Gli ultimi dati mostrano che il nostro tessuto imprenditoriale ha una capacità di reazione maggiore rispetto alle aspettative. Ci sono tre macroaree.
La Toscana centrale, quella della città metropolitana fiorentina e dell’area lungo l’Arno, mostra un’alta capacità di reazione. È la parte più viva, con una diffusa capacità imprenditoriale.
Se si esce da questa zona e si va lungo la costa, invece, troviamo una concentrazione di settori storicamente caratterizzati da un’alta partecipazione statale, caratteristica che non favorisce lo sviluppo di spiccate abilità imprenditoriali.
C’è meno capacità di reazione di fronte alla crisi. E poi c’è un’altra Toscana: la Maremma, l’Appennino, aree dove però c’è scarso addensamento».
Come si può ripartire?
«Io credo che solo un grande investimento pubblico possa rilanciare l’economia. Il Recovery Fund è una grande opportunità che non possiamo perdere ma dobbiamo presentare dei progetti validi».
Per esempio?
«Mi riferisco ai grandi investimenti infrastrutturali di cui si parla da tempo, come la Darsena Europa o la Grosseto- Fano, progetti strategici per lo sviluppo economico del territorio».