«Mi sono reso conto che in argomento tanti parlavano, molti mangiavano e pochi facevano. – evidenzia Galimberti – Dalla precedente esperienza di imprenditore edile ho appreso, sulla mia pelle, che dovevo reinventarmi, ma su iniziative anticicliche, che non fossero troppo penalizzate dagli andamenti dei mercati».
La combinazione di questi elementi – sensibilità alle tematiche Expo e voglia di riscatto sostenibile – lo hanno condotto all’idroponico. Ma prima di avviare qualsiasi tipo di impresa si è interrogato sulla possibile domanda e su come si sarebbe potuta amplificare per avviare una qualsiasi start up ed il suo successivo break even. Entro poco tempo, con l’ausilio dei social, è riuscito ad individuare la domanda già presente ma, soprattutto, a generarne di nuova, facendo conoscere la qualità del prodotto idroponico. Il processo, riavviato nel 1930 dal Dr. Gericke, Università di Berkeley in California, non è da considerare una vera e propria scoperta perché, pur in vario modo, già gli Assiro-Babilonesi ne conoscevano la grande utilità. Molte altre popolazioni ne calcarono le orme, coltivando sul pelo dell’acqua.
Tuttavia, solo di recente ha acquisito importanza diventando una tecnica innovativa, molto apprezzata per il ridotto utilizzo di suolo che ben si adatta alla costante crescita demografica.
Utilizza un substrato al posto del terreno (miscele di perlite, argilla espansa, sabbia ed altri materiali simili) dove permeano acqua e sostanze nutritive, assunte dalle radici delle piante. Può anche prevedere l’immersione diretta di radici nell’acqua e nutrimenti. Con questo processo si può coltivare all’aperto e indoor, sviluppando anche in verticale, con potenzialità enormi.
«Le differenti modulazioni dei nutrimenti sciolti nell’acqua, l’individuazione di antiche varietà, fanno crescere pomodori ed altri ortaggi con sapori e qualità eccellenti. – prosegue Galimberti – Abbiamo fatto anche presente che il mancato contatto con la terra evita l’attrazione di nichel, aprendo il varco a consumatori con allergie, le donne in particolare».
Le argomentazioni e l’attività preliminare hanno convinto i suoi finanziatori:
il primo fondo di impact investing in Italia Oltre Venture e un pool di banche, per un investimento di 20 milioni di euro su una serra di 13 ettari. È nata Sfera Società Agricola Srl.
«È una serra attiva, capace di adattare in tempo reale il suo clima. La crescita degli ortaggi avviene sempre in condizioni ottimali, indipendentemente dall’ esterno. – spiega Galimberti – Il recupero delle acque piovane, e il ciclo di coltivazione chiuso, consentono l’accumulo di acqua, per poi impiegarla nei periodi di siccità, con un risparmio idrico fino al 90 per cento rispetto alle coltivazioni su suolo. Nella serra si utilizzano quasi esclusivamente mezzi di lotta biologica, come insetti utili e molecole di origine naturale».
I cicli di produzione sono continui. Il fatturato, 15 milioni di euro a fine 2020, è assorbito per quasi il 40 per cento dal costo del personale.
«Paghiamo 250 stipendi, stipendi veri; – evidenzia l’imprenditore – troppo spesso, quando si parla di agricoltura e di ortaggi, si evocano luoghi comuni e richiami ad utilizzi impropri di personale. Da noi non è così ma dobbiamo ancora sforzarci e contenere il costo della manodopera al di sotto del 30 per cento, vero e proprio livello di break even del nostro business».
Il combinato di sostenibilità economico finanziaria, ambientale e sociale sarà il driver a cui ispirarsi. In questo modo sarà possibile estendere il processo ad altre serre e proseguire nella strada della visione, e realizzazione, di un mondo migliore.
Consumatori e produttori, Pro-sumer, come evidenzia provocatoriamente Galimberti, non potranno che propendere per una crescita e sviluppo delle colture idroponiche.
Quindi: pensare positivo e idroponico, con l’augurio che Galimberti prosegua nel posizionamento di Sfera e contamini altri imprenditori. Lasciamo, quindi, de André e le bellissime parole della sua canzone, perdonandogli di non aver citato l’idroponica, più che per non conoscenza, forse, per la sua nota mancanza di familiarità con l’acqua.
“È una serra attiva, capace di adattare in tempo reale il suo clima”
